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Tenera Valse: Anatomia della ragazza zoo

Tenera Valse: Anatomia della ragazza zoo

Tenera Valse nasce in una città del sud. Si ritrova ad insegnare Latino e Greco in un famoso liceo della capitale, ma prova la strana sensazione di vivere la vita di un altro. Lascia la scuola per incontrare uomini e donne con cui fare l’amore a pagamento.


Il nome del lavoro che ha scelto le sembra così brutto che decide di scrivere un’operetta in cui spiega cosa significa per lei vendere amore. Vive in una caverna senza luce solare nel cuore della Roma barocca dove nessuno può vederla. Dopo “Portami tante rose” è uscito il nuovo libro “Anatomia della ragazza zoo” edito da Il Saggiatore.
D- Dopo il successo di “Portami tante rose” edito da Cooper è uscito il nuovo libro “Anatomia della ragazza zoo” edito da Il Saggiatore. Cosa accomuna queste due pubblicazioni e come è cambiato lo stile di scrittura di Tenera Valse?

R- Quelle che tu chiami pubblicazioni si accomunano perché l’autore è il medesimo, Tenera Valse: entrambi sono oggetti narrativi, il primo nella forma del memoire erotico, se fosse un film sarebbe “Film d’amore e d’anarchia” di Lina Wertmuller, il secondo (Anatomia…) scritto nella forma del noir psichico potrebbe essere un film di David Linch per la sua struttura, per la sua crudeltà una pellicola di Kim Ki DuK. Pietà forse. Lo stile non cambia, lo stile se c’è, si piega alla materia, così come il medium (penna, pennello, tastiera del pc etc), ci sono storie che si fanno scrivere, altre che si fanno dipingere o scolpire altre che vogliono essere messe in scena.

 

D- Nel libro “Anatomia della ragazza zoo” racconti la storia di Alea, primogenita di una famiglia borghese, che si ribella al padre, trasformandosi in ragazza zoo. Il romanzo è un grido generazionale, uno sguardo critico alla società in cui viviamo. Qual è il tuo concetto di famiglia e quanto c’è di autobiografico in questo racconto?


R-Io distinguo sempre tra borghese e piccolo borghese, specialmente per quanto riguarda l’Italia esiste una sostanziale differenza tra i due ambienti culturali e sociali. La piccola borghesia è la peggiore delle due perché intrattiene un rapporto velleitario con la realtà e con la prima. Il mio romanzo racconta attraverso una favola edipica (quella che accomuna tutte le famiglie eterosessuali cattoliche e non solo) la supremazia del concetto di padre, nelle società a nella sua struttura borghese: nell’ordine simbolico, negli ordinamenti istituzionali e culturali. Racconta la difficile integrazione delle culture delle donne e la strumentalizzazione dell’infanzia nelle società dove le rappresentazioni del potere sono per lo più maschili e consumistiche. La famiglia dovrebbe essere un arto della società/corpo e invece in Italia è la trincea privilegiata contro uno Stato che odiamo. Famiglia significa casta, mafia, e mette in scena, in Italia qualcosa di profondamente malsano e violento. Dovrebbe essere il luogo più intenso della trasmissione dei valori e invece è lo zoo/laboratorio dove si trasformano i bambini in consumatori e schiavi di bisogni indotti e ricettacolo di malattie depressive e schizofreniche . La scuola non è più luogo di trasmissione di cultura generativa, è ripetitiva e nel migliore dei casi area di resistenza. L’autobiografia è uno strumento da cui -chi scrive come chi legge – parte. Certo io non sono una omicida come Alea. la protagonista di Anatomia. O forse si? Voi che dite?

D- La scrittura si può considerare come espressione liberatoria per modificare o stravolgere il corso della propria esistenza, che valore ha assunto la scrittura nel tuo percorso di vita?

R-La scrittura, cioè l’arte della parola, è uno dei pochi strumenti che come umani abbiamo a disposizione per comunicare la nostra condizione corporea e mentale e per modificarla, per intervenire nella storia.
Io non uso l’arte per cambiare la mia vita…quando nei primi tentativi giovanili – come apprendista stregona -ci ho provato non ci sono riuscita perché non è un lavoro che si può fare a tavolino, a freddo, è l’arte che ti modifica, cambia e stravolge l’ esistenza dalle fondamenta, bisognerebbe prendere l’arte seriamente in considerazione per cambiare la realtà e la storia in meglio, visto che l’economia, e certo uso del potere e della politica hanno fallito. L’arte è la religione del futuro, l’unico strumento rivelatore di umanità e disumanità, perché non ha il negativo dell’obbedienza a una setta e non contempla l’obbligo dell’inchino a enti superiori di cui sappiamo poco e che usiamo come ci fa più comodo, l’arte è in tutti, non solo in pochi, è il vero umano che si rivela in noi e nei nostri simili quando ridiventiamo bambini, praticandola tutti, anche come terapia, si diventa migliori.
Siamo capaci tutti di esprimere arte, prima quella di vivere in armonia con noi stessi: e lo saremmo ancor più se non si distruggesse la capacità di creare del bambino, come si fa nelle odierne pedagogie e come tenta di fare certa tv che induce false aspettative nei ragazzi e mercantilizza le loro aspirazioni.

 

D- Sei considerata un’artista colta e scandalosa, ti riconosci in questa definizione? Cosa si cela nella personalità di Tenera Valse?

R-La cultura la uso come strumento per entrare in comunicazione con gli altri non come strumento di potere, né per dividere, come strumento di critica radicale e di costume, come sfida: la bellezza non si costruisce solo rifacendosi intere parti del corpo, ma agendo sulla mente in modo tale che diventi migliore nelle passioni, nel gusto, nell’amore per le differenze e per il benessere diffuso. Insomma tocca lavorare sulla mente più che sul corpo. E’ più triste avere delle labbra sottili e un naso pronunciato o una mente meschina?
Allo stesso modo mi disturba l’uso settario della cultura, e l’uso dell’industria culturale per addomesticare il cattivo gusto e il portafoglio delle persone semplici, l’arte vera è artigianato, non bisognerebbe scegliere un libro solo perché va di moda o asseconda la nostra morbosità, come le “50 sfumature”, ma andarsi a cercare le cose meno visibili, oggi la sfida è questa, cogliere il meno visibile, ricercare cose belle non imposte dai mercati e supermercati della cultura, la sfida oggi è essere e diventare unici non essere uguali, uguali dovremmo solo esserlo nei diritti e nei doveri, per non essere sfruttati e mantenere dignità nel lavoro soprattutto. Quanto al celarsi: non nascondo nulla che vada comunicato e non mostro nulla che non vada tenuto intimo.
D- Una tua riflessione sul ruolo della donna nella cultura italiana.

R-Le donne italiane sono in un momento contraddittorio e duro della propria emancipazione, avendo pochi spazi e maggiori opportunità di esibizione cavalcano ogni opportunità: usano il proprio corpo ai livelli più estremi pur di farsi strada dentro una società in cui gli uomini possiedono la maggior parte del potere, del denaro e dei posti che contano. Molte se ne sono andate, mie amiche artiste e ricercatrici, altre resistono semplicemente come madri e non solo, e altre subiscono il femminicidio in famiglia, molte, troppe. Le più furbette amano ancora essere definite e diventare “mogli di…” e in questo modo come in passato, usano l’amore e la procreazione per crearsi un capitale proprio e una posizione sociale. Mentre le femministe colte coltivano un’area di resistenza passiva, chiuse nella torre bronzea della cultura, non comunicano né con le operaie, né con le donne di famiglia, né colle femministe vere, cioè le femministe istintive. Tranne la mia amica Wilma Labate, lei si, lei si che mette a disposizione tutto ciò che è come intellettuale al servizio delle donne e delle loro storie, ma ce ne sono altre di donne così. Le femministe istintive e le intellettuali militanti sono quelle che più amo, anzi le uniche.
Le donne italiane dovrebbero fare una lotta insieme, come in certe commedie di Aristofane e riflettere di più sulla propria identità collettiva e non essere pedisseque portavoci del peggiore maschile. Anche perché riescono male in quello, in quanto gli uomini hanno qualità di spontaneità che alle donne mancano e fare i replicanti dei codici culturali maschili senza essere maschi non produce valore né novità, né futuro.
Sono anche gli uomini a chiedere alle donne questo nuovo modo di essere: essere se stesse nel proprio ordine simbolico.
D- Progetti e ambizioni per il futuro.

R-L’ ambizione è un valore piccolo borghese. Penso di essermene liberata. Progetto nuovo: essere in armonia con me stessa e con gli altri e scrivere un romanzo sull’amore. Se l’amore si rivelerà a me.


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