La felicità non la si riconosce mai quando la si sta vivendo, ma sempre dopo
di Serena Citernesi e Dejan Uberti TW @9Deki6
Sorride, Dacia Maraini, una delle più grandi e multiformi personalità della letteratura italiana. Scrittrice, poetessa, saggista e sceneggiatrice, vincitrice di molteplici premi, fra cui il Premio Strega nel 1999 e Alabarda d’oro nel 2012. Abbiamo avuto l’onore di intervistare Sabato 15 Dicembre, poco prima dell’incontro tenutosi con l’autrice al Giardino delle Idee.
Primogenita dello scrittore Fosco Maraini e della pittrice Topazia Alliata, Dacia Maraini cresce in una famiglia variegata di idee ed arte, trascorrendo la prima infanzia in Giappone, dove viene internata con i genitori in un campo di concentramento dal 1943 al 1946, per poi far ritorno all’età di nove anni in Italia, stabilendosi in Sicilia, a Bagheria, ambientazione e tema di uno dei suoi romanzi più famosi. Sarà poi Roma la sua città trampolino con la pubblicazione del primo romanzo “La vacanza” del 1962, e da lì la sua ascesa diverrà repentina e prolifera, dando alla luce capolavori quali “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, vincitore nel 1990 del Premio Campiello, il prima citato “Bagheria” (1993), “Voci” (1994) e “Il treno dell’ultima notte” (2008).
Sua ultima opera è “L’amore rubato” (Rizzoli 2012), raccolta di racconti incentrati su otto donne vittime di violenza e abusi. Come soldati di una guerra fredda, silenziosa benché turbolenta, queste donne cercano un modo per riscattarsi, per vincere contro un nemico che non si adatta al cambiamento e non cresce. Un modo per capire di chi davvero è la colpa, chi davvero porta lividi sulla pelle e nella vita, chi è il vero debole fra chi sceglie la violenza e chi sceglie il coraggio. Con una sferzata di amaro Dacia Maraini ci getta sotto gli occhi pagine di cronaca, troppo spesso sottovalutate, ricordando che la verità si può e si deve gridare e che la letteratura si mette in gioco e prova a farlo.
Come ha iniziato la sua carriera?
Io ho iniziato scrivendo per un giornalino scolastico quando avevo 14, forse 15 anni. E’ molto utile e s’imparano molte cose.
Nel suo nuovo libro, “L’ amore rubato”, lei ha descritto alcune donne che hanno subito violenze a sfondo sessuale. Come spiegherebbe ad una bambina vittima di tali atrocità che cos’è la felicità?
La felicità nasce dal rispetto dell’altro. Bisogne rispettare l’altro e non pensare mai che l’altro sia una proprietà. Questa è una regola assoluta. L’amore, anche il più disperato il più assoluto non dà diritto al possesso dell’altro. Mai. Naturalmente la felicità nella vita, che è piena di momenti e situazioni drammatiche, difficili, dure, non è che sia tanta, però certamente c’è una “non-infelicità”. Perché la felicità è rara, forse è più percepibile la serenità, che ognuno dovrebbe raggiungere, perché la felicità è troppo lontana. Senza contare che una persona si accorge della felicità sempre dopo, quando è passata, invece la serenità mi pare una meta raggiungibile e che tutti abbiamo diritto di provare.
Sempre parlando delle tematiche trattate nel suo libro, si è notato come, rispetto agli anni precedenti, sia stato rilevato un aumento esponenziale di violenze. Questo è però dovuto ad una maggior efficienze dei mezzi di comunicazione nel riportarci le notizie, o piuttosto ad una maggiore degradazione della società in cui viviamo?
E’ complicato. Perché è vero che la violenza, contro i più deboli, donne, anziani, bambini, è una realtà presente in ogni epoca. Però questo tipo di violenza, il femminicidio, cioè il delitto che è contro la persona della propria moglie, perché è purtroppo quasi sempre così, è aumentato esponenzialmente. Io ho visto l’elenco delle morti, e passa da 59, tre anni fa, a 119 di oggi. Quest’ultimo è un dato nuovo. E non ci si può discutere. Ovvero, non essendo stupri, o violenze che e non vengono registrate tutte e nemmeno denunciate, per quanto riguarda i delitti le statistiche sono chiare. E questo è in aumento. Ciò significa che c’è qualcosa nel matrimonio che, secondo me, a causa del cambiamento dalla vecchia famiglia patriarcale a quella nuova, non è andato a buon fine. C’è una crisi profondissima nella famiglia per come la intendiamo oggi. Anche perché spesso, questi uomini che uccidono spesso, circa il 60%, si suicidano subito dopo, ed è proprio una tragedia. Non è solo un atto di egoismo, di violenza come potrebbe accadere per strada di stupro, è tutta un’altra cosa. Questo è proprio l’uomo che si vede venir meno tutte le sua abitudini, le sue credenze, le sue idee sulla famiglia e non lo tollera, spesso uccidendo anche i figli. Tutto nasce difronte ad un’intolleranza della caduta di certi privilegi, di certi valori che uno conserva e che si considerano essenziali. L’intelligenza storica sta’ invece proprio nell’accettare i cambiamenti. Siccome le cose cambiano, la famiglia è cambiata. Quelli che non accettano il cambiamento della famiglia sono dei perdenti, ed infatti è del perdente la violenza. Chi cambia è forte, perché si adegua, capisce i cambiamenti. L’intelligenza storica sta proprio nel sapersi adeguare ai cambiamenti.
In una celebre frase Pirandello diceva : “ La vita o si vive o si scrive”. Come mai lei ha deciso di scriverla?
Io nasco da una famiglia di scrittori, sono sempre stata contornata dai libri. Ho avuto la passione della lettura e io a 14 anni ho incominciato a scrivere sul giornale della scuola. Già sapevo che avrei voluto fare quello nella vita. Ci ho messo parecchio, perché non è stato facile. Ho cominciato a fare un sacco di lavori per sopravvivere. La mia famiglia era povera, e ho fatto segretaria, l’archivista, la segretaria fotografa. Moltissimi lavori, ma in realtà io sapevo di voler scrivere, e di voler diventare una professionista in quel settore.
Come avvicinerebbe un bambino alla lettura?
Secondo me per contagio. Se si mette come un dovere scappano tutti. Ma se uno dice: “Ho letto un libro che mi è piaciuto molto. Parlava di questo e quest’altro.” Se uno cioè è prima innamorato di quel libro e ne parla con amore può contagiare altre persone che a loro volta contageranno delle altre… E questo è l’unico metodo per passare questa passione ai più giovani. Il dovere è negativo nella maniera più assoluta. La ragione, ovvero dire: “Guarda che ti serve. Ne rimarrai felice se lo fai”, è inutile. Quindi l’unico modo di introdurre alla lettura.
Lei scriveva racconti fin dall’inizio o si dedicava ad altro? Cioè perché non la scelta di un romanzo, di una trama un po’ più complessa e lunga? Io ho iniziato a scrivere un romanzo a 17 anni. Ma è più facile pubblicare racconti, soprattutto su un giornalino della scuola. Perché poi bisogna farsi un proprio pubblico, creando dei propri lettori.
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