Bimbi tenuti a galla, salvati da morte certa
E’ salpata questa mattina la nave Cassiopea della Marina Militare, con 150 bare delle vittime del naufragio di migranti del 3 ottobre scorso al largo di Lampedusa. L’imbarcazione è diretta a Porto Empedocle, dove arriverà nel pomeriggio. Le operazioni di carico è cominciata ieri ma è stata più volte interrotta perché i familiari delle vittime hanno chiesto di poter dare l’ultimo saluto ai feretri, già portati sulla nave, e attaccare una foto dei loro congiunti. Sono più di 200 ancora le bare custodite nell’hangar dell’aeroporto di Lampedusa che dovranno essere portate a Porto Empedocle: le vittime del naufragio sono 359. A queste nell’hangar si aggiungeranno le bare dei 21 morti di un altro naufragio, accaduto l’altro ieri a 60 miglia dall’isola.
I quattro bimbi sopravvissuti al naufragio in acque Sar di Malta, giunti a Porto Empedocle, sono stati salvati dagli altri naufraghi. I siriani che erano in acqua e che sapevano nuotare sarebbero riusciti ad afferrarli e a tenerli a galla fino a quando non sono arrivati i soccorsi.
Non sono stati ancora celebrati i funerali di Stato per i 359 eritrei annegati nel naufragio del 3 ottobre scorso, davanti alle coste di Lampedusa, che altri morti vengono portati sull’isola. Sono i 21 cadaveri arrivati a bordo delle motovedette della Guardia Costiera e della Finanza (11 donne, 3 uomini e 7 bambini), ma il bilancio dell’ennesima tragedia dell’immigrazione, che si è consumata a 60 miglia dalla maggiore delle Pelagie, potrebbe essere di gran lunga maggiore secondo quanto i superstiti hanno riferito all’Unhcr.
E questa sera in un nuovo intervento di soccorso della Marina militare, la nave Espero ha tratto in salvo 14 migranti su un gommone tra cui una donna al nono mese di gravidanza, trasportata in elicottero a Lampedusa. Vite salvate che si vanno ad aggiungere ai 206 migranti tratti in salvo,ieri, dalle navi italiane e maltesi, ma i sopravvissuti parlano di 400 persone in viaggio sulla carretta del mare, e i conti sono subito fatti per valutare l’ennesimo tributo pagato dai disperati che affrontano la traversata del Canale di Sicilia. La mattanza di questi giorni non ferma, però, i viaggi verso l’Italia: solo oggi sono stati cinque i barconi soccorsi a largo di Lampedusa.
Centonovantaquattro persone (con quelle di questa sera) sono state tratte in salvo dalla Marina, 255 dalla Capitaneria: moltissimi i bambini e le donne. E il centro di accoglienza, che ospita 784 extracomunitari a fronte di una capienza di 300, è al collasso. Il presidente della Repubblica Napolitano ha telefonato al sindaco dell’isola Giusi Nicolini, “Non c’è dubbio che” a Lampedusa “occorra anche una presenza di coordinamento e di gestione dell’emergenza da parte di un nucleo di inviati del governo che fiancheggi le autorità locali”. Ora intervenga il governo dunque,dice il Capo dello Stato, che sottolinea come il problema urgente ora sia quello delle bare e dell’assistenza ai sopravvissuti. Non è stato possibile neanche sistemare gli ultimi corpi giunti a Lampedusa, perché l’hangar dell’aeroporto trasformato in una mega camera ardente è stracolmo, e resterà pieno almeno fino a sera, quando lascerà l’isola il primo centinaio di bare del naufragio di una settimana fa diretto a Porto Empedocle. Nell’attesa, le nuove vittime sono sistemate in un camion frigorifero. E il bilancio di questa nuova tragedia sarebbe potuto essere più pesante se non fossero intervenute le unità italiane ben fuori dalle acque territoriali in aiuto delle navi maltesi nelle operazioni di soccorso.
E intanto da La Valletta arriva la notizia dell’arresto di un presunto scafista del viaggio della morte, un tunisino che sarebbe stato riconosciuto sai superstiti a Malta. Quest’ultimo dramma del mare chiarisce, se ce ne fosse ancora bisogno, che il problema non si esaurisce nell’accogliere chi fugge dalle guerre e dalla fame, perché – come ha sottolineato il vice premier Angelino Alfano – ”in mare, prima dello sbarco, c’è il rischio che ne muoiano tantissimi”.
A riprova di quanti possono essere i morti di simili tragedie sono i quattro camion che hanno fatto la spola tra l’hangar e il porto dove era attraccata la nave della Marina Militare Cassiopea che farà rotta con i feretri verso Porto Empedocle.
Con una gru sono state issate a bordo le bare, due, tre alla volta. L’odore di morte è forte, accentuato da un caldo soffocante, come se si fosse ancora in piena estate. La scena delle prima bare issate a bordo della nave viene trasmessa dai tg. In un bar sulla strada principale del paese la vede un gruppetto di eritrei arrivati a Lampedusa da ogni parte d’Europa per cercare se tra le vittime ci siano il fratello, la fidanzata o il figlio. Molti di loro hanno già identificato il loro caro tra le foto dei morti che gli sono state mostrate dalla polizia, ma alcuni non si fidano e vorrebbero che si aprissero le casse per un controllo. Altri si ribellano al trasferimento di cui non sapevano niente. Poliziotti e carabinieri non si stancano di spiegare, di proporre soluzioni. Quando tutto sembra risolto, ecco che arriva un folto gruppo di sopravvissuti al naufragio, anche loro contrari a spostare le salme, offesi per non essere stati informati.Gli animi si scaldano, le operazioni di carico si fermano, riprendono, si fermano ancora.
“Scusaci, ma siamo molto nervosi”, dice una giovane mamma eritrea ad un carabiniere.Sul molo, a seguire la scena tanti lampedusani. Sono solidali con gli immigrati, anche se molti osservano che la richiesta di riaprire le bare è un’assurdità. Nessuna insofferenza, ma anzi una gran voglia di dimostrare vicinanza. Come ha fatto la proprietaria del bar che ha servito da bere al gruppo di eritrei parenti dei morti e poi non ha voluto essere pagata. O come i medici del poliambulatorio che la notte scorsa si sono presentati tutti in attesa che arrivassero i naufraghi dell’ultima tragedia del mare. “Abbi Pietà Signore, tante volte siamo accecati dalla nostra vita comoda e non vediamo quelli che muoiono vicino a noi”, ha scritto Papa Francesco in un tweet. Non sembra proprio che questo ammonimento riguardi i lampedusani.
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